Avevo dieci anni quando capii come andava il mondo.
Era il compleanno di Francesca, la figlia di un imprenditore, fidanzatina di Francesco, il figlio del dentista.
Io ero figlia d'operai, ciononostante, vuoi per gli sforzi di mia madre che mi cuciva vestiti da piccola principessa, vuoi perchè la bellezza conturbante che mi portavo appresso era visibile fin d'allora, vuoi per un'innata giovialità, nonostante l'eccezione, venivo sempre invitata.
A quell'età ti aspetti che la tua ingenuità appartenga a tutti quelli che ti stanno intorno, per cui, quando Francesco mi diede un bacio a stampo, pensai che si fosse confuso.
Ma quando reiterò, da subito sentii indignazione per un'azione che reputavo scorretta.
Ma era bello Francesco e io ero lusingata e Francesca era in un'altra stanza a tagliare la torta.
E poi, non ero stata causa, ma solo effetto di qualche misterioso meccanismo di seduzione che ancora non palesavo.
Quindi se doveva esserci un traditore, quello non ero io.
Crebbi con questa consapevolezza.
Tu puoi essere provocante, consapevolmente o meno, puoi tendere lascivi tentacoli di persuasione, puoi ammiccare e travolgere, comunque sia, se non c'è corrispettivo non c'è nulla.
Tu resti solo effetto degli altrui coinvolgimenti, qualora cedano alle tue lusinghe.
Allora, proprio non capisco, perchè si cerchi di attribuire la responsabilità del tradimento a chi ha tentato e vinto.
Forse perchè prendersela con chi ha ceduto equivarrebbe a confermare l'incapacità di un ruolo a cui si è appartenuto ed è più facile arginare il pensiero del fallimento se la colpa la si lascia a qualcun'altro.
Così ho capito che spesso non si riflette mai sul proprio rapporto, neppure quando traballa.
Si lascia che sia e qualora capiti qualcosa, il colpevole è sempre altrove.